Monday, 25 August 2008

Fireflies in a Jar/ Lucciole inbarattolate

Cosi’ mi ritrovai a fare colazione all’alba, ad Amburgo, poco prima dei test per la selezione degli astronauti.
Si venne a sedere al mio tavolo un ingegnere spaziale che, per comodita’, chiameremo semplicemente “il male”.

Il male era sulla quarantina, capelli alla Big-jim e faccia da Orzoro.
Vestiva con una camicia dell’ESA con tanto di patches di missione, insomma la camicia diceva al mondo che lui era un esperto dell’ambiente. Il tutto corredato da un vestito elegante e delle scarpe costose.

Di fronte stavo io. Bambi's eyes, converse verdi come la speranza (ma anche l'Islam e la Padania), i pantaloni pieni di tasche pseudo-cartucciera comunicavano che la salvezza puo’ arrivarti da ogni dove.
...e la mia maglietta del Camerun?
Oh beh, quella ricordava ai campioni che non bisogna sottovalutare nessuno (Argentina 0 - Camerun 1).

Tra caffe’ e pane e marmellata, il "male" ci tenne a raccontarmi di essersi preparato duramente e di essere fisicamente in perfetta forma.
Anche mi ero preparato a questa selezione; peccato che durante l’ultima partita di calcio, il mio crociato
fosse partito alla volta di Gerusalemme e io ne aspettassi ancora il ritorno.
In questo round di selezione comunque, non sarebbero state giudicate le capacita’ fisiche, ma quelle psico-attitudinali.
In particolare si rischiedeve una buona memoria visiva ovviamente il "male" diceva di essersi allenato per ricordare tutto e tutti.
Io credo di avere una buona memoria visiva innata. In piu' l' allenavo andando nelle saune miste.

A questo punto il "male" si alzo' di scatto: era tempo d’andare, la sfida era lanciata.
Raccolsi la sfida, sguardo determinato, mi alzai di scatto. Mi versai addosso del caffe'.
Mi chiesi: "perche’ sono sempre cosi’ addormentato, la mattina presto?"
Mi risposi determinato (mentendo): "Sono cosi' in gamba che mi piace dare due ore di vantaggio al mondo".

Il "male" aveva gia’raggiunto il bus quando io ponderai la seguente: ieri notte, prima di dormire, mi sentivo felice. Pensavo che nelle prossime ore avrei potuto lavorare alla realizzazione di un sogno, sebbene non sapessi cosa avrei potuto trovarmi fra le mani.
Da piccolo avevo gia' provato quel tipo di felicita’.
Quella volta che, laggiu’ in Veneto, avevo scoperto le lucciole (gli insetti, non le donnine), le avevo raccolte in un barattolo e le tenevo sul comodino, nel buio della mia cameretta.
Non sapevo quanto grandi e luminose sarebbero diventate il giorno dopo, pero’ ero contento di averle accanto a me.
Mi addormentavo felice. Chissa se il "male", che sembra sapere calcolare tutto, ha mai dormito cosi’ bene.
Il giorno seguente le trovavo spente.

Non perdete il prossimo episodio sulle lucciole e Amburgo

Saturday, 16 August 2008

Ich bin ein Berliner

I Berliner, sono dei bomboloni. Quando preparati in casa, ogni cento, 99 contengono mirtilli mentre uno viene riempito di mostarda.
Quando hai il cesto davanti, la sorpresa e' sempre dietro l'angolo.

Il soprendente dolciume ben contraddistingue la piu’ incredibile delle capitali europee.
Una citta’ che fu nera piu’ del nero, divenne di un profondo rosso, mentre oggi, per non sbagliare, e’ multicolore.


Qui, a Tempelhof eroici piloti d’aereo eroici portavano provviste con un ponte aereo, per salvare Berlino dalla morsa dei cattivi comunisti.
Poco piu’ avanti, invece, gente che non era adatta alla selettivita’ del sistema capitalista, abbandonava il passaporto in cambio del lavoro, il cibo e la dignita’ garantiti dal socialismo reale.


Li’ a destra c’e’ un museo che contiene l’incredibile ara di Pergamo odierna Turchia (per me piu’ bella del Partenone e i suoi p-fregi perfidalbionici).
Non e’ bello spostare i monumenti, pero’ Berlino e’ la seconda citta’ Turca, allora forse stride meno....solo che ieri cesellavano marmi e oggi scolpiscono kebab....ma anche pizza.


La definizione di genti e cucine Mediterranee, nella mittleuropa, e' un po' caotica.
Come pretendere l’ordine da chi chiama il beverone nazionale, Berliner Weisse, (che significa Bianco) e altro non e’ se non birra e colorante di verde o rosso fosforescente (v. foto).


Mi piace Berlino in estate: e’ verde di parco e azzurra di cielo.
Ci si sente in pace con la natura circostante, in una citta’ cosi’ e molta gente va a piedi nudi nei parchi.
Poi arrivano le api e ricominci a odiare la natura.


Non so quale monumento possa identificare questa citta’: credo che questa si trovi tra i ragazzi dello Zoo di Berlino, i gurken di Sprewald, il sanguinaccio con composta di mele che mi sono mangiato vicino a Friedrichstrasse ma anche in mille altre piccole o grandi cose.

E’ una citta’ giovane, in divenire, con i pregi e i difetti della gioventu’:
Ha molto passato, poca arte del passato.
Il fiore del padiglione della Sony center a Potsdamerplatz, coi suoi petali, colori e giochi d’acqua sembra un ode alla capacita’ di creare luoghi pieni di vita, tecnica e grazia.
Ammiro la pragmaticita’ e la bellezza di queste opere.
I tedeschi fanno poesia con l’architettura.


Mentre ascolto un pezzo sinfonico, rimuginando questo post non posso fare a meno di chiedermi come e dove riescano a infilare la marmellata dentro i Berliner e perche' gli orchestrali non si lamentino.
Ho un libro con le architetture visionarie di Goethe e le liriche equilibrate di LM Van der Rohe.
Rifaccio la valigia, che mi si aspetta ad Amburgo.

Tuesday, 5 August 2008

Ognuno ha la Madeleine che si merita: io Dresda.

Una sera, con alle spalle un tramonto infuocato, arrivai in citta'. 
Ci sono posti che ci fanno sentire fortunati.
Magari non lo siamo, o forse si: in fondo, sentirsi fortunati, significa esserlo.
Si porta fortuna chi crede in se stesso.
Qua non sembra assere cambiato un granche’: i punk a Neustadt bevono la stessa birra davanti ai pub.
Ricordo quel pub, vi conobbi una ragazza con la pelle chiara e gli occhi scuri.
Parlammo un po’, poi mi diede il suo numero, scrivendomelo sulla mano.
Me ne andai in bici contento come un bambino con uno zaino pieno di caramelle: non vedevo l'ora che fosse domani.
Nevicava ed io ero in bici, ma non me ne importava niente.
Arrivai a casa, aprii la mano. Potei solo per stringervi un fiocco di neve imbevuto dall’inchiostro di un numero illegibile: quanto mi rimaneva di quella ragazza che non rividi piu’.

Quel parco la’, lo presi con la bici a tutta velocita’: il regista ci avrebbe ucciso se non fossimo stati in teatro con largo anticipo, per la prima teatrale. Io avevo fatto tardi in lab e correvo, presi sotto una lastra di ghiaccio e capitombolai. Cadendo, rividi tutta la mia vita, come un film; si dice capiti davanti alla morte.
Per fortuna finii su un cumulo di neve.
Poi arrivai a teatro in ritardissimo e il regista mi fece rivedere la mia vita di nuovo a via di cazziate.

Una volta abitavo la’, accanto all’Elba. Un fiume senza argini, con un letto delimitato solo da larghi prati verdi dove correre.
Ma i Sassoni sanno che e’ un fiume buono: straripa una volta ogni cent’anni.
Io aggiungo che e’ gentilissimo, infatti, per la sua squisita cortesia m’e’ venuto a salutare nell' appartamento (cantina) ben 2 volte in 4 anni.
Questo per quanto riguarda i ricordi felici.
Poi ci sono stati anche periodi brutti: ma non si puo’ definire “proprio” un luogo, se non si e’ "vissuto".... Mentre vado in bici mi viene voglia di cantare, apro la bocca e lo faccio.
Proprio in quel momento ingoio un moscerino che canticchiava in senso contrario.
Dopo quest’ ingestione di proteine, passando davanti al pub  Raskolnikov, non posso fare a meno di pensare che io e Dostoevskij abbiamo vissuto sia a Dresda che a Ginevra.
Potrei mettermi anche io a scrivere l’idiota.....ma preferisco farlo e raccontarvelo: preparo lo zaino per Berlino.