Thursday, 13 January 2011

Un post da fine di mondo

La fine del mondo da sempre si caratterizza da alcuni elementi costitutivi ben definiti.
Il Ragnarök, l’Amagideon o l’Armageddom si caratterizza oltre che per l’avere dei nomi da band metallare anche per l’inaspettato verificarsi di un ineluttabile evento e dalla coscienza che la volonta’ umana possa venir soggiogata da una volonta’ superiore (dio, la natura etc.)

Ora io non credo che siamo alla fine di un epoca, ne che succedera’ niente il 20/12/2012.
Ammetto che la fine del calendario Maya interroga il nostro animo almeno da quando all’universita’ finiva le pagine di un calendario.
Un senso di inquietudine mi assaliva; ma poi capii che l’anno della Feril
li veniva seguito quello della Bellucci, della Marcuzzi etc. insomma, la fine dii un calendario non comportava la fine del mondo, ma rappresentava solo una transizione e un cambio della rappresentazione del tempo, cosi’ come lo si era conosciuta fino a quel momento.
Ai fanatici delle date ricordo che i calendari li abbiamo fatti noi umani, e che noi europei andammo a letto il 4 Ottobre 1582 e ci risvegliammo il 15 (come passa il tempo quando ci si diverte e quando si passa dal calendario giuliano a quello gregoriano).
Eppure ultimamente ho visto accadere tutti gli elementi topici della fine di mondoi: I miei mi hanno chiesto di conoscere I genitori della mia ragazza.
Mentre all’inizio ho pensato fosse una cosa semplice mi sono detto d’accordo senza pensarci troppo.
La mia idea di conoscenza (immaginavo una coda informale come uno scambio di mail e una pizza in compagnia) diventava un evento che ineluttabilmente si compiva. Mentre la mia volonta’ veniva soggiogata a quella di un essere superiore: mia madre.
Le pizziata assumeva contorni sinistri tipo piatti di porcellana finissima e calici di cristalli di Bohemia del servizio buono.

Mio fratello alla vista di tutta questa formalita’ inventava scuse poco realistiche malcelando la sua voglia di non presenziare all’evento.
Di pari passo, la mia voglia di essere presente scemava e mi chiedevo se quella formalita’ costituisse il metodo migliore per “fare incontrare delle persone di natura cosi’ amichevoli, semplice e alla mano”.
Al Darawish in arabo significa “gente semplice” una loro canzone diceva: Cosa strana….e’ questa vita, amico mio, ora ridi, ora piangi, chissa’ se mai riuscirai a capirne il significato (...) tempo….in te abbiamo un giorno nuovo, magari sgorgasse dale tue labbra il racconto della fine dei nostri giorni.
 
Evidentemente anche i genitori di Nabil  che scrisse questo testo avevano voluto conoscere i genitori della sua compagnae anche per lui il tempo e' sembrato infinito (pare sempre dilatato il tempo che si passa appesi ai fili e pilotati come marionette).
Lo so che il finale di questo post c'entra poco col resto, ma non e' che potete pretendere troppo da "Falloppio: colui il quale e' sopravvissuto all'arma di fine di mondo".

Wednesday, 29 December 2010

Rock the Casbah (Casba mia, casba mia: un post dalle ascelle punk).


Finalmente sono a casa, parto da Londra dove una temperatura di 4 sotto zero mette a rischio i voli e arrivo in Sicilia un giorno di scirocco pieno (+27 gradi).
La mia finnica ex derideva la nostra abitudine Sicula di montare in casa degli alberi di Natale di plastica, e diceva anche che le palme della piazza decorate in stile natalizio risultavano abbastanza baggiane (credo che in finlandese significhi iconograficamente inappropriati).
Eppure quando le comunico questo cambio di temperature pure lei, custode dell’ortodossia natalizia mi da ragione.
Natale è calore umano….ma anche calore e basta.

Il calore umano arriva subito dopo con i soliti saluti rivolti dalla nonna: che mi rivolge subito un “minchia pari ca sta murennu” (trad. orsù ti trovo alquanto snello et longilineo).
Poi mi elargisce un regalo e alla mia protesta: “nonna non c’era bisogno” risponde con un “...ca st’annu semu ca….lu prossimo annu cu lu sapi” (trad. quest’anno siamo qua, il prossimo chissà) e mentre
lo dice cambia canale a Paolo Fox (che lei non sa come andrà il prossimo anno, ma non per questo crede che il futuro lo sappiano gli astrologi).
Prendo il regalo con una mano mentre con l’altra faccio scongiuri che seppure noi scienziati non crediamo nel potere degli scongiuri (o di Paolo Fox) crediamo nei motti latini quali: Testicula tacta, omnia pericula iacta!

Alle una di notte sono in piazza. La piazza è gremita.
Strana questa mia città dove metà delle persone vivono e lavorano fuori in posti lontani, come America, Germania o culturalmente ancora più lontani: tipo Milano (anche se l'ex-missino De Corato è Pugliese).

In Piazza prima degli auguri i miei amici mi accolgono con entusiaste grida di benvenuto che vanno dal: “Minchia ma ancora vivo sei”  (di gente che non ho visto da anni  che saluto con una mano, mentre l'altra Testicula tacta, mala fugant) a “Minchia ma dov’eri finito?- In Galles? Ah ah…stai attento il mostro di Lock Ness” (vagli a spiegare che il Galles e la Scozia sono distanti).
Minchia è usato come forma di saluto generico, non si riferisce alla mia persona.

Ma fa parte del gioco. E mi piace lasciare tutto così com’è. Anche ripetere questo rituale uguale ogni anno.
Mi piace pensare che le cose che lascio rimangano uguali.
Casa mia è l’unica casa dove posso camminare al buio sapendo dove sono gli oggetti.
Mi piace trovarli al buio  esattamente dove  li avevo lasciati
l’anno scorso.
Purtroppo non sempre è così: per esempio su questa mensola l’anno scorso c’era il mio deodorante, mentre ora c’è la lacca di mia madre.
Con grande disappunto dei peli delle mie ascelle. Ora punk.


Buon anno a tutti quelli che passan di qua. Di cuore.

Friday, 24 December 2010

Com’è triste Venezia....e figurati quella del nord.

La compagnia è variegata e allegra, costituita per la maggior parte da Siciliani emigrati in UK. La cosa è resa evidente: oltre che dall’applauso all’atterraggio, dal fatto che, attendendo che vengano messe le scalette, si sente una voce che richiede l’apertura delle portiere al grido di “Bussola Capo!!!” proprio come sui peggiori autobus di Palermo.

Vediamo il museo di Van Gogh.
"Van Gogh tanto geniale quanto incompreso in vita, si formò sull'esempio del realismo paesaggistico dei pittori di Barbizon e del messaggio etico e sociale di Jean-François Millet"….aspè lasciamo stare le wikipedia: ve lo spiego a parole mie.
Van Gogh era un poveraccio che in tarda età aveva deciso di diventare pittore.
Essendo autodidatta riusciva a vedere le cose in maniera molto personale e lontana dalla visione accademica che era un po’ quello che facevano gli espressionisti che sarebbero arrivati dopo di lui.
Ora ci fu un momento che ebbe la consapevolezza che stava creando qualcosa di grande (e qui citerei il grande Cesare Cremonini…il filosofo, non il lunapop).
Dicevo che aveva capito che poteva formare una scuola pittorica.
Allora aveva chiamato Gaugin gli aveva tempestato la casa di girasoli che a lui piacevano (e anche a me).
Dopo qualche tempo i due litigano, e Van Gogh alla fine della discussione si taglia un orecchio.

C’è chi dice che Gauguin gli avesse rinfacciato di dipingere in maniera troppo spontanea….insomma di andare ad orecchio.
Sta di fatto che seguono dipinti tristi, come la camera vuota, piena di colore ma senza l’amico. Quindi viene rinchiuso in manicomio, alla fine tetri corvi (quadro a fine post) e il suicidio tramite pistolettata.
Rimane l’amaro di questa triste storia. E la consapevolezza che se per caso Gauguin gli avesse rinfacciato di disegnare a cazzo (anziché a orecchio), forse la storia sarebbe potuta divenire ancora più trista.


Uscendo dal museo, passeggiando per i canali arriviamo alla casa di Anna Frank.
Anna Frank era una bambina tedesca ed ebrea che, per fuggire alle persecuzioni ebree dei nazisti si sposta prima ad Amsterdam e poi entra in clandestinità, nascondendosi con altre 8 persone in un appartamento.
Di giorno quando la gente viveva negli uffici di sotto, Anna doveva riuscire a non fare rumore, quasi ad annientarsi fisicamente.
Allora sognava e immaginava una vita diversa.
I suoi sogni erano cose piccole: sentire il sole, l’aria aperta, andare in giro liberamente. Tutti questi pensieri venivano scritti nel diario che teneva.
Quando gli alleati stavano per liberare Amsterdam il nascondiglio venne svelato (non si sa da chi) alle SS e Anna e la sua famiglia vennero presi e portati nei campi di concentramento dove tutta la famiglia (ad eccezione del padre) moriranno.
 Anna muore di tifo a sole tre settimane dalla liberazione del campo di concentramento.

Dopo questi due musei eravamo abbastanza giù e inizavamo a comprendere perchè in giro ci fossero tante bici che tentavano il suicidio gettandosi nei canali (vedi foto).
Amsterdam, coi suoi canali è troppo  ricca di storie e Storia.
Case oblique e i canali giù al porto che raccontano vite passate.
Sentivamo addosso il peso di quelle storie, della memoria storica, dei dolorosi passaggi che hanno portano l’uomo a divenire ciò che è ora (nel bene  enel male).
Dopo la prima giornata decidiamo che s’è sofferto empaticamente più di quanto lo si possa fare (considerando anche che s’era senza arancine a S. Lucia). Pertando si decise di cambiare registro e, pur mantendo la meoria delle cose viste si disse: si disse basta con le cose triste.
Da domani solo
donnini allegri.
Ma questa è un'altra storia.

Nel Frattempo Buon Natale. Di cuore.

Tuesday, 14 December 2010

Canto gioioso dell'emigrante: esegesi dell'arancina

La festa piu’ trista per gli emigranti, arriva ogni anno il 13 Dicembre: Santa Lucia: patrona delle arancine.
In questo giorno, per ricordare alle giovani generazioni la fine della carestia del 1646 in cui, la terra che un tempo era stato il granaio del impero romano era finito il pane, si rinuncia a pane e pasta.
Pero’ si possono mangiare arancine, cuccia col vino cotto, panelle, cazzilli e tantissime altre cose buonissime (che noi mediterranei mica possiamo avere un approccio calvinista alla perdita della memoria storica).
Arancina sta per picccola arancia, nella Sicilia orientale invece dicono gli arancini....sara’ che loro si mangiano delle cose fatte a forma di piccolo albero di arancio (!?!).
In questo giorno, la casa natia lasciata vuota, all’emigrante appare ancora piu’ vuota.
Ora la vostra mente aliena potra’ chiedersi: ma perche’ Falloppio non si fa le arancine anziche' ogni anno lamentarne la mancanza? (1 e 2).
La risposta, my friends, corre nel vento....se tenderete l’orecchio con animo puro riuscirete a sentire il refolo che dice: “ma chi minchi rici?”
Come se il segreto delle arancine e delle panelle fosse nel materiale di partenza.
Il segreto sta nell’olio fituso (sovrautilizzato).

Quando lasci una terra, sai che non la troverai mai uguale.
Le cose cambieranno presto: tuo fratello ti rubera’ la camera e i cd, i mobili, gli eletrodomestici si evolveranno e tutta la tua terra lentamente, si scordera’ di te.
Tutto? No. L’olio di certe friggitorie e’ stato cambiato l’ultima volta quando Garibaldi dormi' nella friggitoria (che quello tanto dormiva dappertutto).
Da allora, le catene polinsature di acidi grassi hanno raccontato storie di emigrazione e di popoli andati lontani, ma sempre mantenendone la memoria.

Non staro’ poi qui a svelare a voi profani come l’addetto alla friggitoria, l’untopanellaro, (figura mitica), controlla che la temperature dell’olio sia ottimale.
Esso sicuramente non immergera’ un dito o un termomentro per controllare la corretta temperatura.
La verita’ e’ diversa e ben prosaica. Ma non vi posso svelare questo segreto.

Santa Lucia, santissimissima patrona delle arancine, per uno strano gioco di rimandi congiunge la Sicilia Normanna con la Svezia da cui noi Siculi discediamo (chi piu' chi meno). Santa Lucia e’ patrona delle donne svedesi (anch’esse figure mitiche sebbene non appartenenti alla sottoclasse geno-fenotipica di  “arancina cu li peri”.
Definiscensi arancina coi piedi una donna rotondetta e bassina tale che la circonferenza della persona sia assimilabile ad una sfera fornita di piedi (vedi Botero).

Nel giorno di Santa Lucia le donne svedesi girano per boschi con candele in testa.
A questa notizia, con gli amici si decide di tornare, una volta ancora, a Stoccolma.
Poi, per un errore di mira, combinazione di low-cost ed altro si fini' tutti ad Amsterdam, ma questa e’ la prossima storia.

Saturday, 27 November 2010

Sui superpoteri che ognuno di noi, ha.

Vi piacerebbe avere un superpotere?
C'e' a chi piacerebbe riuscire a fare ragnatele. Io, pero' quelle cerco di levarle con la mia fida compagna aspirapolvere. A me
invece piacerebbe  avere la vista a raggi-X.
La scorsa settimana andavo ad allenarmi e, passando davanti a un club universitario  non ho potuto fare a meno di notare la pubblicita': "Girl party with nipples" ovvero "festa di ragazze con capezzoli".
Turbato dall'aggressiva pubblicita' e preoccupato per il decoro dell'universita' (si, si...proprio cosi'), decido di entrare a controllare.
Mi danno una braciola e dei salatini.
Moralmente turbato e generalmente deluso torno fuori.
Il cartello recita "Grill party with nibbles" ovvero "festa con grigliata con snack".
Piu' contrito moralmente che altro, decido che e' venuto il momento di farmi controllare la vista.
Due anni fa m'avevano detto che potevo portare le astronavi ora invece mi dicono che posso portare gli occhiali.

Qualche mese fa camminavo con CuginElena e CuginEttore per il Roath
park e dissi: "Ragazzi, fate piano, ammirate quello scoiattolo sotto quegli alberi. I miracoli della natura.....orsu' avviciniamoci senza fare rumore".
Purtroppo quello che da lontano mi sembrava uno scoiattolo, da vicino si rivelava essere una pietra....e tra le risa argentine delle giuovani generazioni a nulla valeva parlare dello scoiattolo metaforico-interiore che e' in ognuno di noi.
Da quel giorno i miei cuginetti mi presero in giro.
Ora pero' ho gli occhiali.
Alessio e Laura dicono che mi stanno bene.
Alessio dice che ora le ragazze mi guarderanno negli occhi con sgu
ardo intenso e, con fare disinvolto, si aggiusteranno la frangetta, specchiandosi nelle mie lenti.
Ho un aria un po' da intellettuale e c'e' di buono che non si possono picchiare quelli con gli occhiali.
Mi donano un aria molto intelligente.
Ovviamente e' solo l'aria.
Ora volevo scrivere qualcosa d'intelligente per finire sto post, ma in realta' il mio unico pensiero e' che ora potrei indossare gli occhiali a raggi-X che potevi comprare con l'intrepido senza destare alcun sospetto.

Sunday, 14 November 2010

Allegro con Brio.

Ultimamente ho poco tempo per scrivere.
Vieppiu', mi sembra che siamo, almeno in termini politici, assistendo alla fine di un era.
L'ordine delle cose, non verra' sovvertito dai giudici o dalle inchieste giornalistiche, ma dal fatto che
sono finiti i soldi per fare finta che si sta bene e tenere a bada i nemici (anche se ancora provano a comprare un po' di voti coi soldi pubblici alle scuole private).
Perfino gli industriali che hanno fatto affari d'oro sulle spalle degli operai, ora si rendono conto che la crisi economica e di credibilita' nazionale influisce pesantemente sui loro affari.
La chiesa che che aveva organizzato con Berlusconi i family-day contro Prodi (un democristiano devoto e monosposato), ora si rende conto che forse ha sbagliato a puntare.
Le Alitalie tornano ad essere (s)vendute all'AirFrance nel 2013 etc.
E la crisi ormai si fa sentire sempre di piu' nelle bassi classe sociali.
Ora, anziche' fare la parte della Cassandra, col ditino rivangatore di "io ve l'avevo detto".
Vista la mancanza di tempo, anziche' come afanno altri blogger che mettono un video, io mi limito a rendere questo blog piu' leggero e brioso riportando un brano di uno dei miei autori preferiti: E.A. Poe che spiega molto bene l'attuale situazione in modo leggero e brillante.

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La mascherata della morte rossa (E.A. Poe)
Da tempo la "morte rossa" devastava il paese.
Mai crisi economica era stata piu' fatale, o piu' spaventosa. La poverta’ aveva facilitato il diffondersi di un epidemia di cui il rosso del sangue erano la sua manifestazione e il suo suggello. Essa appariva con dolori acuti, uno stordimento improvviso, poi la dissoluzione.

Ma il cavaliere Prospero era una creatura felice, indomabile e insaziabile.
Quando le sue terre furono a meta' spopolate, egli raduno' al proprio cospetto un migliaio di amici sani e spensierati scelti tra i notabili e le dame della sua corte, e con costoro si ritiro' nell'inviolato isolamento di una delle tante sue ville, su un isola.
Era una costruzione enorme, splendida, creata dal gusto eccentrico e sfarzoso del cavaliere  in persona. Un muro forte e altissimo la circondava. Questo muro era munito di cancelli di ferro e protetti, dal segreto di stato e dai soldati del regno.
Appena furono entrati, i cortigiani presero incudini e martelli massicci e saldarono le serrature.
Erano decisi a non lasciare alcuna possibilita' di entrata o di uscita agli improvvisi scatti di disperazione o di demenza che potevano nascere all'interno. La certosa era ampiamente fornita di viveri, e con tante precauzioni i cortigiani potevano permettersi di sfidare il contagio.
Che il mondo esterno pensasse a se stesso: nel frattempo era follia addolorarsi o pensare. Il cavaliere  si era preoccupato di provvedere a tutti i mezzi di divertimento: vi erano buffoni, ballerini, musicanti, vi era gioventu’ e bellezza, vi era vino e stordimento.
Tutte queste cose e la sicurezza regnavano la' dentro mentre fuori infuriava la "morte rossa".

Fu verso il finire del quinto o del sesto mese del proprio isolamento, e mentre la pestilenza fuori era al colmo della sua virulenza, che il cavaliere  Prospero decise di offrire ai suoi mille amici un ballo mascherato d'insolito splendore e dal sapore esotico.
Fu uno spettacolo d'inaudita ricchezza, questa mascherata; ma desidero descrivere le stanze in cui essa si svolse. Ve n'erano sette, che formavano un unico maestoso appartamento. In molti palazzi pero' simili fughe di stanze formano una veduta lunga e diritta, mentre le porte a due battenti scorrono sin quasi entro le pareti su ciascun lato, in modo da permettere di abbracciare tutta l'estensione dell'appartamento con una sola occhiata. Qui pero' la cosa era molto diversa, com'era facile aspettarsi dall'amore del duca per il bizzarro al limite del pacchiano. Le camere erano disposte in modo talmente irregolare che lo sguardo stentava a comprenderne poco piu' di una alla volta. A ogni venti o trenta metri vi era una svolta brusca e a ogni svolta l'effetto era diverso. A destra e a manca, nel mezzo di ciascuna parete, un'alta e slanciata finestra gotica dava su un corridoio chiuso che assecondava le tortuosita' dell'appartamento.
Queste finestre erano di vetro colorato e il loro colore variava secondo la tinta predominante delle decorazioni della stanza entro la quale ciascuna finestra si apriva. La stanza sull'estremo lato orientale era drappeggiata, per esempio, di azzurro; e di un azzurro intenso erano le finestre.
La seconda stanza aveva gli ornamenti e le tappezzerie purpuree, e purpuree pure erano le invetriate.
La terza stanza era tutta verde, e altrettanto le finestre.
La quarta era arredata e illuminata in colore arancione, la quinta di bianco, la sesta di violetto. La settima stanza era pesantemente avvolta in panneggi di velluto nero che pendevano ovunque dal soffitto e dalle pareti, ricadendo in pesanti pieghe su un letto a baldacchino ch si diceva essere appartenuto a un cavaliere  dell’est, della stessa stoffa e colore. In quest'unica stanza pero' la tinta delle finestre non corrispondeva alle decorazioni. Le invetriate erano di colore scarlatto, di un sanguigno cupo. Ora in nessuna di quelle sette stanze vi era una sola lampada o candelabro, pur tra la profusione di ornamenti dorati sparsi qua e la' o pendenti dai soffitti. Nessuna luce di nessun genere vi era che emanasse da lampada o candela entro la fuga di stanze, ma nei corridoi che ne accompagnavano i serpeggiamenti era appoggiato, di contro a ciascuna finestra, un pesante tripode, reggente un braciere acceso, il cui fuoco proiettava i suoi raggi attraverso il vetro istoriato da cui la stanza era in tal modo vividamente illuminata.
Questo produceva un'infinita' di immagini variopinte e fantastiche. Ma nella stanza nera, la occidentale, l'effetto della luce e del fuoco che si diffondeva sui neri panneggi attraverso le invetriate tinte di sanguigno era spettrale all'estremo, e produceva sulle fisionomie di coloro che vi entravano un'apparenza talmente irreale, che pochi tra gli ospiti dell'abbazia avevano l'ardire di porre piede in quel locale.

In questa stanza vi era pure, poggiato contro la parete occidentale, un gigantesco orologio d'ebano. Il suo pendolo oscillava innanzi e indietro con un brusio sordo, cupo, monotono; e allorche' la lancetta dei minuti compiva il giro del quadrante e l'ora batteva, proveniva dai polmoni di bronzo dell'orologio un suono chiaro e forte e profondo e straordinariamente musicale, ma cosi' stranamente accentuato che, allo scoccare di ogni ora i musicanti dell'orchestra erano costretti ad arrestarsi per un attimo durante l'esecuzione dei loro pezzi, e ad ascoltare quel suono; cosi' anche le coppie danzanti cessavano forzatamente le loro evoluzioni, e in tutta la gaia compagnia subentrava come un breve smarrimento, e mentre ancora echeggiavano i rintocchi dell'orologio, si poteva notare che i piu' storditi impallidivano e i piu' vecchi e tranquilli si passavano una mano sulla fronte in un gesto di confusa fantasticheria e meditazione. Ma non appena quei rintocchi tacevano, subito tutti erano pervasi da un lieve riso; i musicanti si guardavano tra loro e sorridevano quasi a beffarsi del proprio nervosismo e della propria esitazione, e sussurrando si ripromettevano gli uni agli altri che il prossimo scoccare della pendola non li avrebbe piu' sorpresi e scossi a quel modo; ma quando, al termine di sessanta minuti di nuovo si udivano i rintocchi dell'orologio, ecco che quello stesso smarrimento e incertezza e concentrazione s'impadronivano degli astanti.
Nonostante cio', tuttavia, la festa era gaia e splendida.
I gusti del cavaliere Prospero erano specialissimi. Egli possedeva una conoscenza sagace dei colori e degli effetti: i suoi progetti erano audaci e bizzarri, e le sue ideazioni splendevano di sfarzo barbarico.
Forse qualcuno avrebbe potuto giudicarlo pazzo, ma cosi' non lo ritenevano i suoi seguaci: bisognava ascoltarlo raccontare storie piccanti e udirlo narrare tali fantasticherie assurde e vivergli dappresso per essere certi che non lo fosse, sebbene, incontrolablmente malato dal desiderio e bisognoso di attenzioni.

Era stato lui a dirigere personalmente gran parte degli abbellimenti temporanei delle sette stanze, in occasione di quella grande festa, ed era stato il suo gusto personale a conferire carattere alle maschere. Erano certamente maschere grottesche. Sfavillanti e luccicanti, erano, piccanti e fantastiche e a creare un volcano artificiale nel giardino della residenza.
 Alcune di queste maschere erano figure d'arabesco, di libica fattura, con membra e ornamenti strampalati.
 Altre parevano le fantasie deliranti di un pazzo. Molte altre ancora erano bellissime, molte capricciose, molte bizzarre, alcune terribili, e non poche avrebbero potuto suscitare disgusto.
In realta' nelle sette stanze si avvicendavano senza posa miriadi di sogni. E questi, i sogni, si torcevano qua e la', assumendo colore nelle stanze e provocando la sensazione che la musica ossessionante dell'orchestra non fosse che l'eco dei loro passi. Ed ecco che ancora la pendola d'ebano, nella sala del velluto, batte le ore. Ed ecco che ancora per un attimo tutto e' immobilita' e silenzio, tranne la voce dell'orologio. I sogni s'irrigidiscono e si raggelano nel punto in cui stavanovolteggiando, ma gli echi della suoneria muoiono lontani, non sono durati che un istante, e un riso sommesso, leggero, fluttua e l'insegue mentre essi si dileguano. Ed ecco che la musica si rinturgidisce, e i sogni rivivono, e nuovamente si attorcono ancora piu' gai che per l'innanzi, colorandosi ai riflessi delle finestre variopinte attraverso cui si rifrange in mille raggi il bagliore dei tripodi. Ma verso la camera piu' occidentale delle sette nessuna maschera osa ora avventurarsi; poiche' la notte sta ormai trascolorando, e dalle invetriate sanguigne si irradia una luce piu' rossiccia, e la cupezza degli scuri drappeggi sgomenta, e a colui il cui piede si posa sul nero tappeto giunge dal vicino orologio d'ebano un rintocco smorzato, piu' solenne, piu' veemente, di quanto possa giungere agli orecchi di coloro che si abbandonano al piacere e alla gaiezza nelle stanze piu' lontane.
Ma queste altre stanze erano fittamente affollate, e in esse il cuore della vita pulsava febbrilmente. E la festa prosegui' turbinosa, sinche' all'orologio incominciarono i primi rintocchi della mezzanotte. E la musica cesso', come ho detto, e le evoluzioni dei ballerini s'interruppero, e come prima vi fu un inquieto arresto di ogni cosa. Questa volta pero' alla pendola stavano scoccando dodici colpi, e cosi' fu forse che piu' pensiero, con piu' tempo, pote' insinuarsi nelle menti dei piu' riflessivi fra la turba dei baldorianti.
 E questo fu forse anche il motivo per il quale prima che gli ultimi echi dell'ultimo rintocco si perdettero e si smorzassero nel silenzio, piu' d'uno tra la folla ebbe modo di avvertire la presenza di una figura mascherata che sino a quel momento non aveva attratta l'attenzione di alcuno. Ed essendosi rapidamente diffusa all'intorno in un sussurro la voce di questa nuova presenza, si levo' alfine da tutta la compagnia un fremito, un mormorio, dapprima di disapprovazione e di sorpresa... e infine di spavento, di orrore, di disgusto.

In un'accolta di fantasmi quale io ho descritta e' facile immaginare che un'apparizione normale non avrebbe certamente suscitato tanto scompiglio. In realta' la licenza sfrenata di quella notte non aveva quasi limiti, ma la  figura in questione avrebbe superato in crudelta' fantastica lo stesso Erode, e aveva persino oltrepassato i confini pure immensi della stravaganza del cavaliere . Anche i cuori degli esseri piu' sfrenati hanno corde che non possono essere toccate senza che vibrino di emozione. Anche per gli esseri piu' perduti, per i quali la vita e la morte sono ugualmente motivo di beffa, esistono cose di cui non e' possibile beffarsi. Tutti gli astanti insomma sentivano ormai acutamente che nel costume e nel portamento dello straniero non vi erano ne' spirito ne' decenza. La figura era alta e scarna, e avvolta da capo a piedi nei vestimenti della tomba. La maschera che ne nascondeva il viso era talmente simile all'aspetto di un cadavere irrigidito che anche l'occhio piu' attento avrebbe stentato a scoprire l'inganno. Eppure tutto cio' avrebbe potuto essere sopportato, se non approvato, dai gaudenti forsennati che si aggiravano per quelle sale: ma il travestimento aveva spinto tant'oltre la sfrontatezza da assumere le sembianze della "morte rossa". Le sue vesti erano intrise di sangue, e la sua vasta fronte e tutti i lineamenti della sua faccia erano spruzzati dell'orrore scarlatto. Allorche' gli occhi del cavaliere Prospero caddero su questa spettrale immagine (che con movimenti tardi e solenni, come per meglio sostenere il proprio ruolo,
 si aggirava tra i danzatori) lo si vide contorcersi, a un primo momento, in un lungo brivido forse di terrore, forse di disgusto; ma subito dopo la sua fronte si invermiglio' di collera.
 - Chi osa? - domando' con voce rauca ai cortigiani che lo attorniavano, - chi osa insultarci con questa irrisione sacrilega? Prendetelo e smascheratelo, affinche' possiamo sapere chi impiccheremo all'alba ai merli del nostro palazzo!

Quando proferi' queste parole il cavaliere Prospero si trovava nella stanza  turchina, ovvero la stanza orientale. Esse rimbombarono alte e chiare per tutte le sette stanze.
Nella stanza turchina stava il cavaliere , attorniato da un gruppo di giovani cortigiane pallide. A tutta prima, non appena egli ebbe parlato, questo gruppo ebbe un lieve moto irrompente in direzione dell'intruso, il quale in quell'attimo si trovava pure vicino e ora con passo solenne e deciso si approssimava ancor piu' al cavaliere . Ma per un misterioso innominato terrore che l'aspetto pauroso della maschera aveva ispirato a tutti i presenti, nessuno oso' stendere una mano per afferrarla, cosicche' lo sconosciuto pote' passare a un metro di  distanza dalla persona del cavaliere  senza che alcuno lo trattenesse, e mentre la folla, come colta da un unico subitaneo impulso, si ritraeva dal centro delle stanze verso le pareti, egli prosegui' indisturbato nel proprio cammino, ma sempre con quel passo maestoso e misurato che lo aveva distinto sin dal primo momento, attraverso la stanza turchina a quella purpurea, dalla stanza purpurea alla verde, dalla stanza verde alla stanza arancione, e poi alla bianca, e da questa si spinse persino nella stanza violetta, prima che venisse  fatto un movimento risoluto per fermarlo. Fu allora pero' che il cavaliere Prospero, accecato di collera e vergognoso per la propria momentanea codardia, si butto' precipitosamente attraverso le sei stanze, non seguito da alcuno, causa il terrore mortale che aveva raggelato tutti quanti i presenti. Impugnava alta sul capo una spada sguainata, e si era avvicinato, rapido, impetuoso, a pochissimi passi dalla figura, retrocedente, quando questa, giunta all'estremita' della stanza di velluto, si volse bruscamente e affronto' il proprio inseguitore. Si intese un grido lacerante, e la spada si abbatte' in uno sfavillio sul nero del tappeto, sopra il quale, un attimo dopo, cadde  prostrato nella morte il cavaliere Prospero. Allora, raccogliendo in se' il  folle coraggio della disperazione, un gruppo di baldorianti si precipito' nella stanza nera e afferro' il travestito, la cui alta figura stava eretta e immobile entro l'ombra della pendola d'ebano, ma un gemito di indicibile orrore usci' dai loro petti quando essi si accorsero che le vesti funerarie e la  maschera cadaverica che avevano strette con tanta violenta rudezza non contenevano alcuna forma tangibile.

E allora tutti compresero e riconobbero la presenza della "morte rossa" giunta come un ladro nella notte, e a uno a uno i gaudenti giacquero nelle sale irrorate di sangue delle loro gozzoviglie, e ciascuno mori' nell'atteggiamento disperato in cui era caduto. E la vita della pendola d'ebano si estinse con quella dell'ultimo dei baldorianti. E le fiamme dei tripodi si spensero. E l'Oscurita', la Decomposizione e la Morte rossa regnarono indisturbate su tutto.

Saturday, 30 October 2010

Greviaggine autunnale: Impressioni dell’autunno.

Autunno:  cambio di stagione fatto: ho tolto dall’ ipodio le musichicchie estive ed ho messo dentro Paolo Conte, Tom Waits e  Joy division.
Musica allegra dici tu. Ed io lo penso seriamente, che l’autunno sia l’esplosione della vita. Pero’ della vita vera.
Tu dici che il colore del lutto e’ il bianco in India, dove si pensa alla morte come un annientamento dell'essere (non in maneira negativa).
Allora quest’esplosione di colori per contrasto rappresenta la vita.
La vita vissuta anche con coscienza dell'ultimo viaggio.

Le Betulle ci insegnano che le foglie riescono a mettere una loro ultima bellezza nel viaggio, sia pure così breve, dal ramo alla terra; e malgrado il terrore d’imputridire, vogliono che questa loro caduta abbia la grazia d’un volo (E.Rostand).
Le Betulle ci insegnano l’eleganza dell’incanutire, del vivere il tempo lento di quando si lascia il mondo pronto per una nuova primavera di vita.
Le Betulle….mica come quei krumiri stronzi dei sempreverdi!


E tu ridi e pensi che il pensiero ha una sua logica ma e’....asimmetrico.
Me lo diceva sempre Alessio, che mi conosce bene.

E mi diceva anche che ero grevio, che in Siciliano significa, senza sale, ma anche freddo e anaffettivo: incapace di mostrare emozioni.

Che forse e’ pure vero, infatti il mio ricordo piu’ brutto d’infanzia e la visita di mia zia Pierina che mi abbraccia e mi sbaciucchia facendo strani versi che non capisco.
Mi sentivo soffocare da quello che in Siciliano si chiama “auggurio” che come concetto e’ strano:
Ti compri una bella giacca? E ti faccio auggurio, congratulazioni, abbracci, pacche sulle spalle e sorrisi. Anche se la giacca non mi piace.
Anche se la giacca e’ solo un vestito che cambierai l’anno prossimo.

Vi siete fidanzati? Bravi:
auggurio massimo.
E’ la terza volta questo mese, pero’ devo mostrarti la mia felicita’.
Vi siete sposati? Un altra volta? Ah ma questa e’ la volta buona: la storia importante (che le altre erano prove tecniche).
Ti faccio auggurio e vieppiu' ti sorrido
.
Io pero’ sono grevio. Quindi queste cose non le faccio.
Al massimo mi emoziono davvero per cose che sono cose diverse. Asimmetriche.
Stasera sono arrivato al lago.
C’era un po’ vento che spazzava la foschia.
Ho portato dei pezzi di pane duro ai cigni del parco.
Quest’estate c’erano un sacco di bambini che portavano da mangiare ai cigni che si avvicinavano nuotando in fila, eleganti.
Ora fa freddo e la sciarpa mi copre il viso.
I cigni mi circondano. Non sono piu’ eleganti. Sono nervosi, hanno fame e mi strappano il pane dalle mani.
...e a me dispace davvero, che nessuno vuole bene ai cigni quando fa freddo.
...e se tutti la pensassero allo stesso modo, le foglie sarebbero tutte dello stesso colore, i sorrisi sarebbero tutti finti (d'
auggurii non sentiti), e i cigni sarebbero ancora piu' tristi.