Quand’ero piccolo, c’era una bambina nel palazzo di fronte. Si chiamava Gemma. Aveva un viso tondo e dei capelli a caschetto, diverse salopette di identica foggia e diverso colore.
Si giocava a biglie, a palla o con le bici con cui salivamo la collina, per vedere cosa ci fosse dall’altro lato.
Ed una volta arrivati in cima alla collina, stanchi per la corsa con le bici, si giocava.
A quei tempi, eravamo piccoli, non e’ che si sapesse bene la differenza tra maschietti e femminucce.
L’unica diversita’ che ricordo d’aver notato allora era che per spianare il circuito per le biglie, si usavano le ragazze, ma perche’ erano piu’ leggere e, forse, col culo piu’ rotondo.
Quando vivevo in Germania c’era questa ragazza che aveva dei lunghissimi capelli neri e degli occhi azzurri troppo profondi, che non capivi mai cosa pensasse.
Non l’ho quasi mai vista ridere e certamente, davanti a me, non ha mai pianto.
A volte pensavo che, anche quando eravamo soli, lei era la’; ma la sua mente era da qualche altra parte.
Solo che se poi andavamo da qualche parte, la sua mente non era mica la’.
Era un po' nel suo mondo, che non era il mio, e l'avevo capito.
Visto che non c'era sovrapposizione, mi chiedevo se almeno i nostri mondi si toccassero.
Poi ricordo una sera. Io guardavo una fontana, con l’acqua che s’era congelata lasciando delle sculture di ghiaccio.
Lei mi tiro’ una palla di neve gigantesca. Forse il gesto piu’ romantico avesse mai fatto. Ne ridemmo a lungo.
La mia compagna ora e’ lontana.
Ha degli occhi grandi e neri, che e’ facile leggere. Perche’ sono i miei stessi occhi.
Mentre la guardo penso a come verranno un giorno i nostri bambini.
Coi capelli ricci come i suoi, o lisci come i miei. Se piangeranno tanto come faceva lei da piccola, o se dormiranno tanto come me, che mia mamma dice che non e’ sicuro che poi mi sia poi mai svegliato davvero.
A me non importa, basta che siano felici.
Mi piace pensare a cio’ che ci potrebbe capitare fra qualche anno.
Io non so se Gemma sia cresciuta e si sia trasformata in una donna o se la ragazza tedesca abbia trovato qualcuno con cui dividere il suo mondo.
Nei miei pensieri sono rimaste la’: Gemma corre ancora felice fischiando via felice. Peggy tira palle di neve e ride di me.
Ed io guardo il futuro.
So che tutto cio che siamo stati, ci rende cio’ che siamo e influenza cio’ che faremo.
E poi mi addormento e penso a tutte le cose belle che mi sono capitate in vita.
E salgo sulla collina con la bici, ma questa volta non corro, salgo piano che i bambini, con le rotelle vanno piano. E infine giungiamo sulla cima della collina e guardiamo cosa c’e’ coi bambini che guardano avanti ed io che guardo indietro, ammirando come siamo arrivati fin lassu’.
Si giocava a biglie, a palla o con le bici con cui salivamo la collina, per vedere cosa ci fosse dall’altro lato.
Ed una volta arrivati in cima alla collina, stanchi per la corsa con le bici, si giocava.
A quei tempi, eravamo piccoli, non e’ che si sapesse bene la differenza tra maschietti e femminucce.
L’unica diversita’ che ricordo d’aver notato allora era che per spianare il circuito per le biglie, si usavano le ragazze, ma perche’ erano piu’ leggere e, forse, col culo piu’ rotondo.
Quando vivevo in Germania c’era questa ragazza che aveva dei lunghissimi capelli neri e degli occhi azzurri troppo profondi, che non capivi mai cosa pensasse.
Non l’ho quasi mai vista ridere e certamente, davanti a me, non ha mai pianto.
A volte pensavo che, anche quando eravamo soli, lei era la’; ma la sua mente era da qualche altra parte.
Solo che se poi andavamo da qualche parte, la sua mente non era mica la’.
Era un po' nel suo mondo, che non era il mio, e l'avevo capito.
Visto che non c'era sovrapposizione, mi chiedevo se almeno i nostri mondi si toccassero.
Poi ricordo una sera. Io guardavo una fontana, con l’acqua che s’era congelata lasciando delle sculture di ghiaccio.
Lei mi tiro’ una palla di neve gigantesca. Forse il gesto piu’ romantico avesse mai fatto. Ne ridemmo a lungo.
La mia compagna ora e’ lontana.
Ha degli occhi grandi e neri, che e’ facile leggere. Perche’ sono i miei stessi occhi.
Mentre la guardo penso a come verranno un giorno i nostri bambini.
Coi capelli ricci come i suoi, o lisci come i miei. Se piangeranno tanto come faceva lei da piccola, o se dormiranno tanto come me, che mia mamma dice che non e’ sicuro che poi mi sia poi mai svegliato davvero.
A me non importa, basta che siano felici.
Mi piace pensare a cio’ che ci potrebbe capitare fra qualche anno.
Io non so se Gemma sia cresciuta e si sia trasformata in una donna o se la ragazza tedesca abbia trovato qualcuno con cui dividere il suo mondo.
Nei miei pensieri sono rimaste la’: Gemma corre ancora felice fischiando via felice. Peggy tira palle di neve e ride di me.
Ed io guardo il futuro.
So che tutto cio che siamo stati, ci rende cio’ che siamo e influenza cio’ che faremo.
E poi mi addormento e penso a tutte le cose belle che mi sono capitate in vita.
E salgo sulla collina con la bici, ma questa volta non corro, salgo piano che i bambini, con le rotelle vanno piano. E infine giungiamo sulla cima della collina e guardiamo cosa c’e’ coi bambini che guardano avanti ed io che guardo indietro, ammirando come siamo arrivati fin lassu’.