Friday, 18 January 2008

La terra trema. 15 Gennaio 1968.

Ho portato il mio zaino fino a qua e l’ho lasciato sotto un cartello che, sotto un teschio, avverte “attenti al treno”.
Non c’e’ ferrovia per miglia.
Il senso di inquietudine e’ profondo: come quando per strada si incontra il segnale di pericolo generico ma non si specifica cosa si debba temere.
C’e’ buio, un deserto blu livido infastidisce un cielo chiaro e pieno di stelle, se all’improvviso, da dietro la collina sbucassero alieni, zombies o altre "forme di vita" non ne sarei affatto sorpreso.


La verita’ e’ che qui una volta c’era una citta’.
Poi una notte, 40 anni fa, la terra tremo’. E la citta’ non fu piu’.
Ci vollero giorni perche’ si riuscisse a capire cosa era successo, questa terra era sempre stata trascurata.
e fu quasi naturale coerenza  continuare a farlo per giorni, nonostante un terremoto di decimo grado della scala Mercalli.
Si penso' che l'assenza di notizie fosse un buon segno.
In realta' la mancanza di notizie era dovuta al fatto che il terremoto aveva inghiottito tutto: strade, citta’, ferrovia, persone. Contro tutto cio’ v'erano 80.000 persone che erano rimaste vive, ma senza casa.
Chi lo vide da un aereo defini’ il paesaggio "postatomico".


Passo’ del tempo, si capi’ l’entita’ della tragedia, ci si rimbocco' le maniche, si inizio’ la ricostruzione.
Negli anni successivi molti architetti "donarono" progetti per far si che le citta’ uccise potessero divenire una citta' nuova, moderna, ideali. Citta' vennero ricostruite da zero.
C’era entusiasmo, speranza, come sempre accade quando si e’ visti passare davanti la morte.
Era voglia di vivere, ed era voglia di farlo nel modo migliore.


Anni dopo, visitai questa citta’ (foto).
L’autobus arrivava attraversando i campi gialli di grano. Passava sotto una stella gigante che mi appariva
immensa e si fermava sotto una torre in cui era rimasta impigliata una nuvole che suonava. Mi sembrava davvero la citta’ ideale, pensai che mi sarebbe piaciuto vivere li'.

Tornandovi dopo anni, capii lo stridente contrasto che costituivano tutti quelli spazi abbandonati.
I vecchietti, che in qualsiasi altra parte, in giorni come quelli, avrebbero cercato un po’ di refrigerio nell’ombra delle stradine strette, ora si muovevano come relitti sofferenti, al centro di viali deserti.
La vecchia citta’ troppo distrutta per essere ricostruita era stata ricoperta da cemento: le vecchie strade erano ora spaccature della terra arsa: il cretto di Burri.
Tutt’attorno, opere incompiute, scheletri di edifici ora cadentii e  arruginiti o paradossi laceranti: villette a schiera di stile Olandese, pensate probabilmente per essere costuite davanti al mare che invece fronteggiavano il deserto. Un po' mi vergognavo, ma ero contento di non abitare in una moderna necropoli vivente.
Chi aveva progettato tutto aveva dimenticato una cosa: l’uomo.


La gente era andata via, un po’ perche’ perdi le radici capisci che in forse e’ meglio cambiare tutto.
Un po’ perche’ non si puo’ vivere in un museo se non si ha di cosa mangiare....e chi aveva portato tutto quel cemento e ferro si era dimenticato di portare un lavoro duraturo. A vederla da terra questa citta’ mi sembrava un paesaggio postatomico. Le speranze e i sogni di cambiare tutto erano divenute col tempo solo avvilimento e disperazione.


Mi sono levato lo zaino, e un vento freddo gela la schiena.
Mia nonna mi direbbe di indossare un maglione, ma non lo faccio.
Il vento mi fa sentire vivo in un posto che era poco, venne colpito dalla natura, si illuse di potere diventare qualcosa, e infine divenne niente.
Sono passati 40 anni e nessuno ha ricordato il terremoto del Belice. Del resto, il niente, si dimentica in fretta.

Tuesday, 8 January 2008

-Dove si analizzano i trenini di capodanno come forma di comunicazione extraterrestre e si da un bacio alla terra natia e tutto cio’ che essa contiene.

Certe vite vanno come i treni nella notte: passano silenziose, con poche possibilita' per cambi, vanno inesorabilmente avanti illuminando solo in maniera passeggera cio’ che le circonda.
Ottavio: un formidario (formichiere + dromedario)Da questa arguta metafora avrete ben capito di cosa sto parlando: de “i trenini di capodanno”.
Dall’alto del mio razzismo culturale ho analizzato, esegitato (eseguito l’esegesi?) e subito DISCO SAMBA per una trentina d’anni.
Sono giunto alla conclusione che quel codice di parole incomprensibili che costringe trenini di uomini a cantare “jejeu; du paisc tropicau”  mentre tutto intorno pioggia, piggia, pioggia e brina, e una Sabrina che fuma una bionda in minigonna.
L'ipotesi piu' plausibile vuole che tutto cio' costituisca un rito di sottomissione nei confronti di una potenza aliena che non si rivelera’ fino a quando potra’ considerare il genere umano inferiore (cioe' finche' si continuera' a ballare disco samba).
Sulla fine del mondo, sembra ci sia comunque tempo.
Mio cugino che vede sempre voyager m’ha detto che da esiste un testo custodito nella biblioteca di Dresda (SLUB) la cui lettura terribile e con grande sgomento fissi la fine del mondo.
All’inizio pensavo che mio cugino parlasse della mia tesi di dottorato, ma poi m’ha spiegato che si tratta del “Codex Dresdensis” che pone la fine del mondo alla fine della precessione degli equinozi: 21-12- 2012.
Dopo queste inquietanti scoperte, esco.

L’ultimo giorno la mia terra si congeda da me con un sole primaverile.
A guardarla dall’aereo uno pensa che il mare non possa avere una fine piu’ naturale che su questa terra di palme e spiaggie dorate, come un cuscino per una testa voglia sognare colori vivi.

Poi ci sono anche problemi reali.
Per esempio, ho bucato una ruota della macchina a causa di una scaffa bruttissima in un paese vicino al mio.
saline di trapani
Volevo mandare una mail per avvenrtirli di rifare il manto stradale, ma mi e’ stato risposto che il comune e’ commissarito da vari anni per infiltrazione mafiosa.
Ho detto: "Capisco, dove devo inviare, il pizzino. Allora"?
Ma l’aereo punta verso il nord, queste vacanze sono state belle. Ho fatto molte cose. Eppure non mi abbandona un senso di incompiuto, come se avessi lasciato qualcosa in sospeso.
Come se non avessi avuto il tempo di andare a trovare un amica e sapessi che prima o poi dovro’ pagare il fio di questa mia "dimenticanza" (un saluto a Supertriglia =) sara’ per la prossima volta).

Con questo primo post dell’anno volevo salutare il gruppo di lettura (simile a un gruppo d’ascolto) delle casalinghe di Voghera.
No, io non ce l’ho un gruppo di lettura, pero’ mi piacerebbe averlo e allora lo saluto lo stesso.

Monday, 31 December 2007

Che passa.

Il figliol prodigo, dopo avere sperperato tutti gli averi tornò alla casa del padre e chiese di essere preso come il più umile dei servitori, ma il padre, felice, lo accolse e chiese che venisse immolato il vitello più grasso.
Il figliol prodigo,  fece presente che tutto ciò non era cool e lui era vegetariano.
Il padre, paziente fece allora immolare il cespo di lattuga più verde.
Questo succedeva altrove. Quando io entrai in casa, i miei regali genitori e il mio regale fratello (altresì detto “il piccolo principe”) mi vennero incontro felici sventolando palme, ramoscelli di ulivo ma sopratutto 3 arancine. Era notte fonda, il cielo era limpido, ancora una volta ero a casa.
Il giorno dopo esco a leggere la città: mesi fa m’avevano stupito dei graffiti  sfondo razzista di "forza uova".
A distanza di pochi mesi accanto alla scritta: “fuori i Romeni dai nostri quartieri” una mano ha aggiunto  un laconico “seeee e po ci cummatti tu cu me nanna” ovvero “Certo: e poi vieni tu a badare a mio nonno!”.
In piazza hanno messo degli altoparlanti, il primo giorno diffondevano canzoncine di Natale. L’ascolto prolungato di jingle bells, ovviamente, stimola istinti omicidi in chiunque.Non l'avrò pensato solo io perchè il giorno dopo la musica era cambiata:Le colonne sonore dei western di Sergio Leone, stonano con  le chiese barocche attorno, ma non con  le ambizioni da giustiziere dei vecchietti che sussultano ad ogni botto provocato dai chiattiddi (teen-agers) autoctoni.
I nonni hanno una memoria che inizia a perdere colpi. Sarà, ma chissà perché i pastorelli, di anno in anno, hanno sempre le stesse posizioni ed espressioni.
Sempre uguali a loro stessi. Un po’ come i nostri Natali, un po’ come noi, ma in fondo non è così male.
A un certo punto mi sembra di vedere il mio primo capello Bianco. Poi per fortuna capisco che era solo  della farina  del presepe.
E ancora, un altro anno è passato.
Come misuri il tempo? Un anno sono 365 giorni: un giro di ruota del pianeta, fanno circa 200 litri di birra in fondo è poco tempo.
Sono migliaia di puntali sulle pipette e esperimenti che non finiscono mai.
Un anno è felicità,  pianti, persone scomparse e altre trovate.  E' un altro anno ad essere, cambiare e intanto aspettare , che il prossimo anno, o quello dopo, sia l'anno migliore.
Un anno, in fondo è solo un anno, passa presto. 
Buon anno a tutti!!!

Tuesday, 18 December 2007

Storia di un ormone con due spalle cosi’.

-Ma ti ricordi i tempi in cui salivamo in montagna con gli scout?
Avremo avuto una decina di anni e, quando non montavamo tende nei letti di fiumi che erano secchi (fino al momento in cui veniva messo l’ultimo picchetto), cancellavamo pitture rupestri dalle grotte o costringevamo anziani donnini ad attraversare di fretta (perche’ era rosso per i pedoni), facevamo “la pignalorata” che consisteva nel bersagliare con pigne le guide che salivano lente con la strada a tornanti mentre noi (giuovini cavalieri) ci consideravamo abili arruolati nella guerra contro i principali nemici dei bambini di quell'eta': i draghi, i cattivi dei Gormiti e le donne.
-Eh si, ricordo ancora il suono delle pigne sul selciato.
Anni dopo, con qualche ormone in piu’ la guerra sarebbe stata irrimediabilmente perduta e la vendetta consumata.
-Sapevo allora che nella mia montagna c’era una zona detta detta la "piazzetta dell’amore" e me la immaginavo come una piazzetta a forma di cuori da dove vedere quello che si potrebbe definire “le doux coucher du soleil” (tramonto) tenendosi teneramente le mani.
Quando, anni dopo, mi persi con un gruppo di lupetti e, attraversando la golden street (o era goldon street) giungemmo in una piazzetta piena di fazzolettini, non mi stupii nemmeno troppo.
Sostiene il mio amico, che forse la vita si possa dividere in due fasi la preistoria: quando l’ometto non sapeva comunicare, disegnava sui muri e conduceva una vita semplice, ma felice.
...e la storia. In cui l’uomo comunica, ma non riesce a farsi comprendere e poi anche le storie piu’ belle finiscono, magari con una telefonata. Nel mezzo ci sono solo gli ormoni della puberta'.
Capisco che e’ ora di cambiare discorso.
- Ti ho mai raccontato di quella volta che ero a Brodway e di come riuscivo a comunicare con tutto il pubblico?
Il mio amico, spiazzato e incuriosito esce dai suoi pensieri pesi e mi chiede.
- Davvero hai recitato a Brodway?
- Chi ha mai detto che ho recitato?
Nell Off-Brodway a volte si puo’ fare la maschera: si indicano i posti agli spettatori e in cambio si puo' vedere gratis lo spettacolo.
Ride. Si de' distratto, qualunque cosa triste avesse pensato sembra lontana.
Forse l'uomo non e' fatto per pensare.
Non siamo insensibili, siamo distratti. Ma a volte la distrazione e' un vantaggio: ci rende piu' vicini alla felicita' preistorica (il che spiega perche' ci compiaciamo dopo certi ruttoni).
Ora volevo finire questo post svelandovi il segreto della vita.
Ma nella stanza accanto c'e' qualcuno che gioca con un pallone e mi tocca andare a prenderlo a calci (il pallone).

Monday, 10 December 2007

In viaggio

Parlo col mio capo in inglese, con la tecnica che mi aiuta e la studente si discute in spagnolo, comprendo la gente che attorno a me parla in francese, coi miei parlo in italiano.
Anni fa non avrei mai immaginato tutto cio’.

Partendo per la Germania lo zaino era super pieno, nella mia mente c’era un sacco di spazio per imparare entusiasticamente e nel mio cuore c’era tanta voglia di costruire qualcosa.
Allora parlavo troppo, pensavo poco cosi’, poche cose potevano ferirmi.
E pensare che conoscevo solo le frasi di inglese scolastico e una di queste (“the window is open”) non serviva a niente visto che fuori faceva c’era neve da mesi e le finestre erano sempre chiuse.
L’altra frase era: “the penis on the table”....

Ero un cervello in fuga, ma nel mio caso le parole “cervello” e “fuga” erano sbagliate.
Cervello era una parola eccessiva; fuga era imprecisa.
Scoprire che c’era un intero mondo oltre le montagne da piccolo era stato eccitante.
In quel mondo scoprivo che cucinare delle ricette "semplici" poteva farti guadagnare la stima (adesso la chiamo cosi?) di valchirie da lunghi capelli.
Apprendevo che fare le pulizie di casa e’ pesante (e frequentare donne calve faciliterebbe le faccende domestiche).
Imparavo che i parametri di sempre andavano cambiati:  a volte, anche se il cielo fuore e’ blu,  s’incagghiano i cardiddi  che congelano col freddo.
Parimenti, quando mi sentii toccare dietro seguendo i miei pre-giudizi sospettavo orgoglioso della procace scandinava, ci rimasi male a scoprire invece che era stato l’indiano segaligno.
E imparai a quanto la diistanza amplifichi tutto: se una mamma chiede come va, la risposta deve essere positiva e entusiasta, per non farla preoccupare. Oggi ci sono le webcam, e’ piu’ difficile.

Sono stati anni intensi. Sono cresciuto. Oggi parlo poco, probabilemente penso troppo, poche cose possono ferirmi.
Forse fra un po’ dovro’ ripartire per una  nuovo posto che ancora non so.
Non ho paura, sono stranamente calmo. Sono solo stanco: e’ diverso quando a 24 anni si prepara uno zaino pronti a cambiare paese, lingua e amici. Diventa piu’ difficile quando si vede che la moto sarebbe pronta ad accompagnarti, ma dentro si iniziano a sentire i 30.

Ma mi adatto bene dappertutto. Vedremo.
Parlo col mio capo in inglese, con la mia studente in spagnolo, ascolto le voci attorno a me che parlano in Francese, mentre ogni tanto sento i miei e parlo in italiano.
Se mi chiedi in che lingua sogno, pero', non te lo so piu’ dire.

Tuesday, 4 December 2007

Ho qualche idea, ma non il tempo di trascriverla....forse stasera riusciro' a modificare questo post mettendo quello vero.

Intanto potete dare un occhiata alla canzone che ha partorito il post che sara'.

Il video e la traduzione la trovate, come sempre, qua.

Tuesday, 27 November 2007

Piccole storie italiane

Francesco aveva gli occhi azzurri cosi' chiari che potevi vedergli bene dentro.
A guardarlo, ti veniva spontaneo chiederti se degli occhi cosi' chiari sarebbero stati in grado di vedere bene attraverso un mondo cosi’ grigio di piombo.

Francesco era nato nel 1950.
A 19 anni, come molti, aveva pensato che la discesa dell’uomo sulla luna fosse il primo segnale di un cambiamento cosmico.
In estate l’ingegno umano aveva prevalso sulla natura lassu, sulla luna.
Rimaneva solo da cambiare la natura intrinseca dell’uomo creando un mondo piu' giusto, qua sulla terra.

Qualche mese dopo la facolta’ di lettere era occupata.
Mario, che come lui  aveva 19 anni, aveva litigato coi suoi, stava partendo per Roma con Giampiero.
Quest’ultimo, dietro gli occhiali spessi aveva studiato tutto ed era sicuro che dalla capitale sarebbe partita la rivoluzione.

Francesco aveva iniziato a leggere nel retro della bottega da falegname del padre.
Di giorno leggeva di Archiloco e Ipponatte, la sera di Marx e Engels.
Di notte, tutto si accavallava. Non dormiva bene.

Anni dopo, Francesco insegnava al "Giulio Cesare".
Aveva sposato la donna che amava.
Aveva aspettato e sperato nella rivoluzione.
Desiderava un mondo piu’ giusto per tutti, ma ultimamente le cose stavano andando sempre peggio.
Si sentivano  sempre piu' di scontri e spari. Sempre meno utopia e sempre piu' realta', molto diversa da quella che avrebbe voluto.
Quando il bimbo nacque mise tutti i libri in uno scatolone e li chiuse con un doppio giro di scotch perche’ tutte quelle idee che avevano illuso tante persone non potessero nuocere a suo figlio.
Quando nacque il bambino, fu nell'ordine naturale delle cose, chiamarlo col nome di suo padre, il falegname.

Anni dopo, Giampiero aveva cambiato la FGCI, con la FIGC tutti i moti di cui si era discusso a lungo ora rientravano in due categorie: i rigori che l'arbitro fischiava e quelli che no.
Fra quelli che avevano studiato, non era nemmeno quello che si e’ venduto di piu’, o peggio.
Mario era passato ad autonomia operaia e di lui si erano perse le traccie alla fine dei settanta.
Francesco aveva (ed ha) gli occhi azzurri chiari. Ha insegnato per anni. Da un po’ di tempo porta gli occhiali che fanno apparire quegli occhi quasi piu’ grandi.
Lo ricordo in una foto, davanti a una macchina verde, con una barba lunga e dei vestiti assurdi, io, piccolino ho tanti palloncini rossi tra le mani.
Ora lui non e' diverso, forse solo un po' piu' triste.
Qualcosa e' cambiato. Gli occhi azzurri, no.
Una rivoluzione permanente fatta non di botti e clamore, ma di palloncini rossi, sorrisi e insegnamenti quotidiani che, giorno dopo giorno (e nonostante tutto) ti fanno credere che questo mondo (e verra' presto il giorno) potra' essere cambiato.