Saturday, 27 November 2010

Sui superpoteri che ognuno di noi, ha.

Vi piacerebbe avere un superpotere?
C'e' a chi piacerebbe riuscire a fare ragnatele. Io, pero' quelle cerco di levarle con la mia fida compagna aspirapolvere. A me
invece piacerebbe  avere la vista a raggi-X.
La scorsa settimana andavo ad allenarmi e, passando davanti a un club universitario  non ho potuto fare a meno di notare la pubblicita': "Girl party with nipples" ovvero "festa di ragazze con capezzoli".
Turbato dall'aggressiva pubblicita' e preoccupato per il decoro dell'universita' (si, si...proprio cosi'), decido di entrare a controllare.
Mi danno una braciola e dei salatini.
Moralmente turbato e generalmente deluso torno fuori.
Il cartello recita "Grill party with nibbles" ovvero "festa con grigliata con snack".
Piu' contrito moralmente che altro, decido che e' venuto il momento di farmi controllare la vista.
Due anni fa m'avevano detto che potevo portare le astronavi ora invece mi dicono che posso portare gli occhiali.

Qualche mese fa camminavo con CuginElena e CuginEttore per il Roath
park e dissi: "Ragazzi, fate piano, ammirate quello scoiattolo sotto quegli alberi. I miracoli della natura.....orsu' avviciniamoci senza fare rumore".
Purtroppo quello che da lontano mi sembrava uno scoiattolo, da vicino si rivelava essere una pietra....e tra le risa argentine delle giuovani generazioni a nulla valeva parlare dello scoiattolo metaforico-interiore che e' in ognuno di noi.
Da quel giorno i miei cuginetti mi presero in giro.
Ora pero' ho gli occhiali.
Alessio e Laura dicono che mi stanno bene.
Alessio dice che ora le ragazze mi guarderanno negli occhi con sgu
ardo intenso e, con fare disinvolto, si aggiusteranno la frangetta, specchiandosi nelle mie lenti.
Ho un aria un po' da intellettuale e c'e' di buono che non si possono picchiare quelli con gli occhiali.
Mi donano un aria molto intelligente.
Ovviamente e' solo l'aria.
Ora volevo scrivere qualcosa d'intelligente per finire sto post, ma in realta' il mio unico pensiero e' che ora potrei indossare gli occhiali a raggi-X che potevi comprare con l'intrepido senza destare alcun sospetto.

Sunday, 14 November 2010

Allegro con Brio.

Ultimamente ho poco tempo per scrivere.
Vieppiu', mi sembra che siamo, almeno in termini politici, assistendo alla fine di un era.
L'ordine delle cose, non verra' sovvertito dai giudici o dalle inchieste giornalistiche, ma dal fatto che
sono finiti i soldi per fare finta che si sta bene e tenere a bada i nemici (anche se ancora provano a comprare un po' di voti coi soldi pubblici alle scuole private).
Perfino gli industriali che hanno fatto affari d'oro sulle spalle degli operai, ora si rendono conto che la crisi economica e di credibilita' nazionale influisce pesantemente sui loro affari.
La chiesa che che aveva organizzato con Berlusconi i family-day contro Prodi (un democristiano devoto e monosposato), ora si rende conto che forse ha sbagliato a puntare.
Le Alitalie tornano ad essere (s)vendute all'AirFrance nel 2013 etc.
E la crisi ormai si fa sentire sempre di piu' nelle bassi classe sociali.
Ora, anziche' fare la parte della Cassandra, col ditino rivangatore di "io ve l'avevo detto".
Vista la mancanza di tempo, anziche' come afanno altri blogger che mettono un video, io mi limito a rendere questo blog piu' leggero e brioso riportando un brano di uno dei miei autori preferiti: E.A. Poe che spiega molto bene l'attuale situazione in modo leggero e brillante.

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La mascherata della morte rossa (E.A. Poe)
Da tempo la "morte rossa" devastava il paese.
Mai crisi economica era stata piu' fatale, o piu' spaventosa. La poverta’ aveva facilitato il diffondersi di un epidemia di cui il rosso del sangue erano la sua manifestazione e il suo suggello. Essa appariva con dolori acuti, uno stordimento improvviso, poi la dissoluzione.

Ma il cavaliere Prospero era una creatura felice, indomabile e insaziabile.
Quando le sue terre furono a meta' spopolate, egli raduno' al proprio cospetto un migliaio di amici sani e spensierati scelti tra i notabili e le dame della sua corte, e con costoro si ritiro' nell'inviolato isolamento di una delle tante sue ville, su un isola.
Era una costruzione enorme, splendida, creata dal gusto eccentrico e sfarzoso del cavaliere  in persona. Un muro forte e altissimo la circondava. Questo muro era munito di cancelli di ferro e protetti, dal segreto di stato e dai soldati del regno.
Appena furono entrati, i cortigiani presero incudini e martelli massicci e saldarono le serrature.
Erano decisi a non lasciare alcuna possibilita' di entrata o di uscita agli improvvisi scatti di disperazione o di demenza che potevano nascere all'interno. La certosa era ampiamente fornita di viveri, e con tante precauzioni i cortigiani potevano permettersi di sfidare il contagio.
Che il mondo esterno pensasse a se stesso: nel frattempo era follia addolorarsi o pensare. Il cavaliere  si era preoccupato di provvedere a tutti i mezzi di divertimento: vi erano buffoni, ballerini, musicanti, vi era gioventu’ e bellezza, vi era vino e stordimento.
Tutte queste cose e la sicurezza regnavano la' dentro mentre fuori infuriava la "morte rossa".

Fu verso il finire del quinto o del sesto mese del proprio isolamento, e mentre la pestilenza fuori era al colmo della sua virulenza, che il cavaliere  Prospero decise di offrire ai suoi mille amici un ballo mascherato d'insolito splendore e dal sapore esotico.
Fu uno spettacolo d'inaudita ricchezza, questa mascherata; ma desidero descrivere le stanze in cui essa si svolse. Ve n'erano sette, che formavano un unico maestoso appartamento. In molti palazzi pero' simili fughe di stanze formano una veduta lunga e diritta, mentre le porte a due battenti scorrono sin quasi entro le pareti su ciascun lato, in modo da permettere di abbracciare tutta l'estensione dell'appartamento con una sola occhiata. Qui pero' la cosa era molto diversa, com'era facile aspettarsi dall'amore del duca per il bizzarro al limite del pacchiano. Le camere erano disposte in modo talmente irregolare che lo sguardo stentava a comprenderne poco piu' di una alla volta. A ogni venti o trenta metri vi era una svolta brusca e a ogni svolta l'effetto era diverso. A destra e a manca, nel mezzo di ciascuna parete, un'alta e slanciata finestra gotica dava su un corridoio chiuso che assecondava le tortuosita' dell'appartamento.
Queste finestre erano di vetro colorato e il loro colore variava secondo la tinta predominante delle decorazioni della stanza entro la quale ciascuna finestra si apriva. La stanza sull'estremo lato orientale era drappeggiata, per esempio, di azzurro; e di un azzurro intenso erano le finestre.
La seconda stanza aveva gli ornamenti e le tappezzerie purpuree, e purpuree pure erano le invetriate.
La terza stanza era tutta verde, e altrettanto le finestre.
La quarta era arredata e illuminata in colore arancione, la quinta di bianco, la sesta di violetto. La settima stanza era pesantemente avvolta in panneggi di velluto nero che pendevano ovunque dal soffitto e dalle pareti, ricadendo in pesanti pieghe su un letto a baldacchino ch si diceva essere appartenuto a un cavaliere  dell’est, della stessa stoffa e colore. In quest'unica stanza pero' la tinta delle finestre non corrispondeva alle decorazioni. Le invetriate erano di colore scarlatto, di un sanguigno cupo. Ora in nessuna di quelle sette stanze vi era una sola lampada o candelabro, pur tra la profusione di ornamenti dorati sparsi qua e la' o pendenti dai soffitti. Nessuna luce di nessun genere vi era che emanasse da lampada o candela entro la fuga di stanze, ma nei corridoi che ne accompagnavano i serpeggiamenti era appoggiato, di contro a ciascuna finestra, un pesante tripode, reggente un braciere acceso, il cui fuoco proiettava i suoi raggi attraverso il vetro istoriato da cui la stanza era in tal modo vividamente illuminata.
Questo produceva un'infinita' di immagini variopinte e fantastiche. Ma nella stanza nera, la occidentale, l'effetto della luce e del fuoco che si diffondeva sui neri panneggi attraverso le invetriate tinte di sanguigno era spettrale all'estremo, e produceva sulle fisionomie di coloro che vi entravano un'apparenza talmente irreale, che pochi tra gli ospiti dell'abbazia avevano l'ardire di porre piede in quel locale.

In questa stanza vi era pure, poggiato contro la parete occidentale, un gigantesco orologio d'ebano. Il suo pendolo oscillava innanzi e indietro con un brusio sordo, cupo, monotono; e allorche' la lancetta dei minuti compiva il giro del quadrante e l'ora batteva, proveniva dai polmoni di bronzo dell'orologio un suono chiaro e forte e profondo e straordinariamente musicale, ma cosi' stranamente accentuato che, allo scoccare di ogni ora i musicanti dell'orchestra erano costretti ad arrestarsi per un attimo durante l'esecuzione dei loro pezzi, e ad ascoltare quel suono; cosi' anche le coppie danzanti cessavano forzatamente le loro evoluzioni, e in tutta la gaia compagnia subentrava come un breve smarrimento, e mentre ancora echeggiavano i rintocchi dell'orologio, si poteva notare che i piu' storditi impallidivano e i piu' vecchi e tranquilli si passavano una mano sulla fronte in un gesto di confusa fantasticheria e meditazione. Ma non appena quei rintocchi tacevano, subito tutti erano pervasi da un lieve riso; i musicanti si guardavano tra loro e sorridevano quasi a beffarsi del proprio nervosismo e della propria esitazione, e sussurrando si ripromettevano gli uni agli altri che il prossimo scoccare della pendola non li avrebbe piu' sorpresi e scossi a quel modo; ma quando, al termine di sessanta minuti di nuovo si udivano i rintocchi dell'orologio, ecco che quello stesso smarrimento e incertezza e concentrazione s'impadronivano degli astanti.
Nonostante cio', tuttavia, la festa era gaia e splendida.
I gusti del cavaliere Prospero erano specialissimi. Egli possedeva una conoscenza sagace dei colori e degli effetti: i suoi progetti erano audaci e bizzarri, e le sue ideazioni splendevano di sfarzo barbarico.
Forse qualcuno avrebbe potuto giudicarlo pazzo, ma cosi' non lo ritenevano i suoi seguaci: bisognava ascoltarlo raccontare storie piccanti e udirlo narrare tali fantasticherie assurde e vivergli dappresso per essere certi che non lo fosse, sebbene, incontrolablmente malato dal desiderio e bisognoso di attenzioni.

Era stato lui a dirigere personalmente gran parte degli abbellimenti temporanei delle sette stanze, in occasione di quella grande festa, ed era stato il suo gusto personale a conferire carattere alle maschere. Erano certamente maschere grottesche. Sfavillanti e luccicanti, erano, piccanti e fantastiche e a creare un volcano artificiale nel giardino della residenza.
 Alcune di queste maschere erano figure d'arabesco, di libica fattura, con membra e ornamenti strampalati.
 Altre parevano le fantasie deliranti di un pazzo. Molte altre ancora erano bellissime, molte capricciose, molte bizzarre, alcune terribili, e non poche avrebbero potuto suscitare disgusto.
In realta' nelle sette stanze si avvicendavano senza posa miriadi di sogni. E questi, i sogni, si torcevano qua e la', assumendo colore nelle stanze e provocando la sensazione che la musica ossessionante dell'orchestra non fosse che l'eco dei loro passi. Ed ecco che ancora la pendola d'ebano, nella sala del velluto, batte le ore. Ed ecco che ancora per un attimo tutto e' immobilita' e silenzio, tranne la voce dell'orologio. I sogni s'irrigidiscono e si raggelano nel punto in cui stavanovolteggiando, ma gli echi della suoneria muoiono lontani, non sono durati che un istante, e un riso sommesso, leggero, fluttua e l'insegue mentre essi si dileguano. Ed ecco che la musica si rinturgidisce, e i sogni rivivono, e nuovamente si attorcono ancora piu' gai che per l'innanzi, colorandosi ai riflessi delle finestre variopinte attraverso cui si rifrange in mille raggi il bagliore dei tripodi. Ma verso la camera piu' occidentale delle sette nessuna maschera osa ora avventurarsi; poiche' la notte sta ormai trascolorando, e dalle invetriate sanguigne si irradia una luce piu' rossiccia, e la cupezza degli scuri drappeggi sgomenta, e a colui il cui piede si posa sul nero tappeto giunge dal vicino orologio d'ebano un rintocco smorzato, piu' solenne, piu' veemente, di quanto possa giungere agli orecchi di coloro che si abbandonano al piacere e alla gaiezza nelle stanze piu' lontane.
Ma queste altre stanze erano fittamente affollate, e in esse il cuore della vita pulsava febbrilmente. E la festa prosegui' turbinosa, sinche' all'orologio incominciarono i primi rintocchi della mezzanotte. E la musica cesso', come ho detto, e le evoluzioni dei ballerini s'interruppero, e come prima vi fu un inquieto arresto di ogni cosa. Questa volta pero' alla pendola stavano scoccando dodici colpi, e cosi' fu forse che piu' pensiero, con piu' tempo, pote' insinuarsi nelle menti dei piu' riflessivi fra la turba dei baldorianti.
 E questo fu forse anche il motivo per il quale prima che gli ultimi echi dell'ultimo rintocco si perdettero e si smorzassero nel silenzio, piu' d'uno tra la folla ebbe modo di avvertire la presenza di una figura mascherata che sino a quel momento non aveva attratta l'attenzione di alcuno. Ed essendosi rapidamente diffusa all'intorno in un sussurro la voce di questa nuova presenza, si levo' alfine da tutta la compagnia un fremito, un mormorio, dapprima di disapprovazione e di sorpresa... e infine di spavento, di orrore, di disgusto.

In un'accolta di fantasmi quale io ho descritta e' facile immaginare che un'apparizione normale non avrebbe certamente suscitato tanto scompiglio. In realta' la licenza sfrenata di quella notte non aveva quasi limiti, ma la  figura in questione avrebbe superato in crudelta' fantastica lo stesso Erode, e aveva persino oltrepassato i confini pure immensi della stravaganza del cavaliere . Anche i cuori degli esseri piu' sfrenati hanno corde che non possono essere toccate senza che vibrino di emozione. Anche per gli esseri piu' perduti, per i quali la vita e la morte sono ugualmente motivo di beffa, esistono cose di cui non e' possibile beffarsi. Tutti gli astanti insomma sentivano ormai acutamente che nel costume e nel portamento dello straniero non vi erano ne' spirito ne' decenza. La figura era alta e scarna, e avvolta da capo a piedi nei vestimenti della tomba. La maschera che ne nascondeva il viso era talmente simile all'aspetto di un cadavere irrigidito che anche l'occhio piu' attento avrebbe stentato a scoprire l'inganno. Eppure tutto cio' avrebbe potuto essere sopportato, se non approvato, dai gaudenti forsennati che si aggiravano per quelle sale: ma il travestimento aveva spinto tant'oltre la sfrontatezza da assumere le sembianze della "morte rossa". Le sue vesti erano intrise di sangue, e la sua vasta fronte e tutti i lineamenti della sua faccia erano spruzzati dell'orrore scarlatto. Allorche' gli occhi del cavaliere Prospero caddero su questa spettrale immagine (che con movimenti tardi e solenni, come per meglio sostenere il proprio ruolo,
 si aggirava tra i danzatori) lo si vide contorcersi, a un primo momento, in un lungo brivido forse di terrore, forse di disgusto; ma subito dopo la sua fronte si invermiglio' di collera.
 - Chi osa? - domando' con voce rauca ai cortigiani che lo attorniavano, - chi osa insultarci con questa irrisione sacrilega? Prendetelo e smascheratelo, affinche' possiamo sapere chi impiccheremo all'alba ai merli del nostro palazzo!

Quando proferi' queste parole il cavaliere Prospero si trovava nella stanza  turchina, ovvero la stanza orientale. Esse rimbombarono alte e chiare per tutte le sette stanze.
Nella stanza turchina stava il cavaliere , attorniato da un gruppo di giovani cortigiane pallide. A tutta prima, non appena egli ebbe parlato, questo gruppo ebbe un lieve moto irrompente in direzione dell'intruso, il quale in quell'attimo si trovava pure vicino e ora con passo solenne e deciso si approssimava ancor piu' al cavaliere . Ma per un misterioso innominato terrore che l'aspetto pauroso della maschera aveva ispirato a tutti i presenti, nessuno oso' stendere una mano per afferrarla, cosicche' lo sconosciuto pote' passare a un metro di  distanza dalla persona del cavaliere  senza che alcuno lo trattenesse, e mentre la folla, come colta da un unico subitaneo impulso, si ritraeva dal centro delle stanze verso le pareti, egli prosegui' indisturbato nel proprio cammino, ma sempre con quel passo maestoso e misurato che lo aveva distinto sin dal primo momento, attraverso la stanza turchina a quella purpurea, dalla stanza purpurea alla verde, dalla stanza verde alla stanza arancione, e poi alla bianca, e da questa si spinse persino nella stanza violetta, prima che venisse  fatto un movimento risoluto per fermarlo. Fu allora pero' che il cavaliere Prospero, accecato di collera e vergognoso per la propria momentanea codardia, si butto' precipitosamente attraverso le sei stanze, non seguito da alcuno, causa il terrore mortale che aveva raggelato tutti quanti i presenti. Impugnava alta sul capo una spada sguainata, e si era avvicinato, rapido, impetuoso, a pochissimi passi dalla figura, retrocedente, quando questa, giunta all'estremita' della stanza di velluto, si volse bruscamente e affronto' il proprio inseguitore. Si intese un grido lacerante, e la spada si abbatte' in uno sfavillio sul nero del tappeto, sopra il quale, un attimo dopo, cadde  prostrato nella morte il cavaliere Prospero. Allora, raccogliendo in se' il  folle coraggio della disperazione, un gruppo di baldorianti si precipito' nella stanza nera e afferro' il travestito, la cui alta figura stava eretta e immobile entro l'ombra della pendola d'ebano, ma un gemito di indicibile orrore usci' dai loro petti quando essi si accorsero che le vesti funerarie e la  maschera cadaverica che avevano strette con tanta violenta rudezza non contenevano alcuna forma tangibile.

E allora tutti compresero e riconobbero la presenza della "morte rossa" giunta come un ladro nella notte, e a uno a uno i gaudenti giacquero nelle sale irrorate di sangue delle loro gozzoviglie, e ciascuno mori' nell'atteggiamento disperato in cui era caduto. E la vita della pendola d'ebano si estinse con quella dell'ultimo dei baldorianti. E le fiamme dei tripodi si spensero. E l'Oscurita', la Decomposizione e la Morte rossa regnarono indisturbate su tutto.

Saturday, 30 October 2010

Greviaggine autunnale: Impressioni dell’autunno.

Autunno:  cambio di stagione fatto: ho tolto dall’ ipodio le musichicchie estive ed ho messo dentro Paolo Conte, Tom Waits e  Joy division.
Musica allegra dici tu. Ed io lo penso seriamente, che l’autunno sia l’esplosione della vita. Pero’ della vita vera.
Tu dici che il colore del lutto e’ il bianco in India, dove si pensa alla morte come un annientamento dell'essere (non in maneira negativa).
Allora quest’esplosione di colori per contrasto rappresenta la vita.
La vita vissuta anche con coscienza dell'ultimo viaggio.

Le Betulle ci insegnano che le foglie riescono a mettere una loro ultima bellezza nel viaggio, sia pure così breve, dal ramo alla terra; e malgrado il terrore d’imputridire, vogliono che questa loro caduta abbia la grazia d’un volo (E.Rostand).
Le Betulle ci insegnano l’eleganza dell’incanutire, del vivere il tempo lento di quando si lascia il mondo pronto per una nuova primavera di vita.
Le Betulle….mica come quei krumiri stronzi dei sempreverdi!


E tu ridi e pensi che il pensiero ha una sua logica ma e’....asimmetrico.
Me lo diceva sempre Alessio, che mi conosce bene.

E mi diceva anche che ero grevio, che in Siciliano significa, senza sale, ma anche freddo e anaffettivo: incapace di mostrare emozioni.

Che forse e’ pure vero, infatti il mio ricordo piu’ brutto d’infanzia e la visita di mia zia Pierina che mi abbraccia e mi sbaciucchia facendo strani versi che non capisco.
Mi sentivo soffocare da quello che in Siciliano si chiama “auggurio” che come concetto e’ strano:
Ti compri una bella giacca? E ti faccio auggurio, congratulazioni, abbracci, pacche sulle spalle e sorrisi. Anche se la giacca non mi piace.
Anche se la giacca e’ solo un vestito che cambierai l’anno prossimo.

Vi siete fidanzati? Bravi:
auggurio massimo.
E’ la terza volta questo mese, pero’ devo mostrarti la mia felicita’.
Vi siete sposati? Un altra volta? Ah ma questa e’ la volta buona: la storia importante (che le altre erano prove tecniche).
Ti faccio auggurio e vieppiu' ti sorrido
.
Io pero’ sono grevio. Quindi queste cose non le faccio.
Al massimo mi emoziono davvero per cose che sono cose diverse. Asimmetriche.
Stasera sono arrivato al lago.
C’era un po’ vento che spazzava la foschia.
Ho portato dei pezzi di pane duro ai cigni del parco.
Quest’estate c’erano un sacco di bambini che portavano da mangiare ai cigni che si avvicinavano nuotando in fila, eleganti.
Ora fa freddo e la sciarpa mi copre il viso.
I cigni mi circondano. Non sono piu’ eleganti. Sono nervosi, hanno fame e mi strappano il pane dalle mani.
...e a me dispace davvero, che nessuno vuole bene ai cigni quando fa freddo.
...e se tutti la pensassero allo stesso modo, le foglie sarebbero tutte dello stesso colore, i sorrisi sarebbero tutti finti (d'
auggurii non sentiti), e i cigni sarebbero ancora piu' tristi.

Tuesday, 19 October 2010

Di scarpe di coccodrillo che ballano tango.


Mesi fa, io e alcuni miei amici/che visitavamo Oxford.
college: visto uno, visti tutti per cui, dopo avere visto quello di
Tolkien e quello di Harry Potter eravamo un po’ a corto di idee.
Io proposi con entusiasmo di andare a vedere il
dodo di Oxford.
I miei amici, mostrando un inusitata eccitazione mi de-portarono al Bicester Village senza spiegarmi di che si trattasse.

Il posto si presenta come un villaggio Vittoriano.
Solo che e’ falso (come certi amici): e’ un villaggio costruito pochi anni fa: un outlet di stilisti famosi.
Il posto e’ pieno di merci colorate e di dubbio gusto.
Il posto e’ pieno di gente che arriva direttamente da Heatrow con valigie vuote prende la merce emette strani versi “amaaazzing con stridula voce”.
Il posto e’ pieno di donne arabe coperte da un burka integrale che fanno spese esageratte: la cosa mi fa riflettere.
Il posto e’ pieno. Il posto, invero e’ molto vuoto.
C’era un che di nervoso nei gesti della gente: quasi si trovassero davanti a una miniera d’oro e volessero accaparrarsi le pepite piu’ luccicanti.
Ho visto delle scarpe di coccodrillo che venivano via a 1900 £.
Con quel prezzo mi compro due dottorandi per un mese e me li metto ai piedi....altro che coccodrillo.

L’altro giorno con altri amici, abbiamo fatto una scampagnata.
Prima abbiamo scalato una delle Black Mountains dalle parti di LLanthony Priory vicino Abergavenny.
Poi,quando eravamo esausti qualcuno ha detto: “non e’la meta, ma il percorso per arrivarci”. Che significava che anziche’ continuare per altre 20 miglia potevamo prendere alla macchina.

Siamo cosi’ arrivati ad Hye on Wye: the town-book.
Il castello e’ pieno di libri. Basta lasciare una sterlina e prendersi quello che si vuole: ma nessuno controlla: e’ la honesty library.
Il villaggio, di 1800 abitanti ha poi oltre 40 librerie.
Entriamo in una, l’80% sono libri di seconda mano, comprati da stock (per cui nuovi), venduti a poco.
C’e’ una libreria per tutto: il
cricket, astronautica, fotografia; smetto di cercare dopo avere trovato la sezione deer (bambi) management.

La gente era tranquilla. Una ragazza nera sfogliava un libro e mangiava una mela che teneva nella sua sinistra.
La signora che stava alla cassa sfogliava un libro mentre due uomini ammiravano con cura un edizione rara de “le mille e una notte”.
Nel primo villaggio, la notte si anima e si sentono inquietanti sibili: le anime delle merci che cercano un padrone che le animi.
Nel secondo villaggio i libri si animano e si raccontano le storie che hanno dentro e le storie dei loro viaggi, di padroni e scrittori.
Che certe merci valgono meno del loro prezzo e certi libri raccontano piu’ di quello che sembra.
Ne ho preso uno. diceva che il tango e’ il riassunto della vita come la lucertola lo e’ del coccodrillo.
Chissa’ cosa ne penserebbe delle scarpe di un uomo con scarpe di coccodrillo.

Thursday, 7 October 2010

Di Montagne, oltre le montagne

Scendere le scale al mattino, incontrare il vicino.
Discutere amabilmente dandogli sempre ragione (lo contraddici tu uno alto due metri con un non lontano passato da pugile professionista?).
Portare fuori le immondizie cercando di metterle nei giusti contenitori.
Guardare gli alberi del viale, notare che dove le punte degli alberi si toccano a formare un arco sulla strada, le foglie iniziano a cambiare colore; ora che inizia la stagione piu’ bella: l’autunno.

Accendere la macchina e aspettare che il motore si scaldi sintonizzando la radio.
Partire costeggiando il parco dove gli spazzini spalano via le ultime teenagers ubriache del venerdi’ sera mentre i bambini (futuri teen-agers), si aggiustano la cravatta e vanno verso la scuola stretti nelle loro uniformi blu.

Salutare gli uomini della security, posteggiare in maniera passabile.

Camminare verso la scrivania dove la collega mi fara’ trovare un caffe’ caldo.
In realta’ a me il caffe’ locale non piace, ma dopo un anno che me lo fa trovare mi sembra scortese farle notare la cosa.
Bere l’amaro calice, bruciandomi la lingua.
Accendere il computer.
Leggere la repubblica maledendo il governo di destra che si occupa degli affaracci suoi facendo marcire il paese.
Leggere il times maledendo il governo di destra che riduce I benefit per le classi alte, proprio ora che avevo deciso di divenire di classe agiata.
Lavorare al progetto segreto che se ve lo dico poi devo uccidere tutti i lettori di questo blog e non mi sembra giusto privare il mondo di queste 7 personcine di gusto (perche’ chi legge questo blog e’ una personcina di gusto).


Tornando a casa non devo scordare di consegnare i libri in biblioteca prendere le cose per fare sport. Andare a fare sport.
Ricordarsi di togliere le cose sporche dal borsone (che se no dopo tre giorni tornano in vita
e iniziano a predicare l'amore).
Mangiare un boccone e addormentarsi stanco e soddisfatto.


Questo e’ quello che vorrei fare, e che forse  faro’ domani.
Vivere in un posto significa abituarsici.
Alcuni posti hanno la nostra forma. Ad altri ci abituiamo e ne prendiamo la forma.
Alcuni posti cambiano e altri ti cambiano.
Il bello di non avere un posto o di non dipendere da un posto e’ che puo’ cambiare come vuoi.
Il brutto di non appartenere a nessun posto e’ che e’ difficile immaginarsi non sapendo cosa si avra' sullo sfondo.
La media tra il bello e’ brutto e’cio che si ha ora....e  se si sta troppo a rimuginare, si perde la possibilita’ di trasfromarlo in bello. Vado. Ciao.

Sunday, 19 September 2010

Storie di famiglia

Il mio bisnonno Mario ad un certo punto venne chiamato a prendere parte alla storia e mandato in prima linea nella grande guerra.
Dice che all'inizio non era stato un grande cambiamento: che tanto zappava i suoi campi, e zappava in quelle montagne.
L'unica differenza era che non cresceva niente.
Poi arrivo l'inverno e quella terra triste gelo' e divenne impossibile da zappare.

Della guerra Mario ricordava l'inutlita', e il fatto che un paio di volte l'avevano sparato, nella notte i suoi commilitoni.
Quei geni Normanni solidamente innestati nel DNA Siculo, oltre a permettere di combattere il nanismo insulare, avevano giocato un bello scherzo al mio avo: che era  alto 1,80 e con due profondi occhi verdi. In apparenza piu' un Austriaco che un Siculo.
Nella notte, i suoi commilitoni, al grido "megghiu dire ki ni sacciu ca ki nni sapia" "meglio dire che ne so che, che ne potevo sapere"; "better safe than sorrow".
Avevano sparato. Per fortuna le sue bestemmie sparate nella notte erano valse piu' di una targhetta di identificazione. E cosi' s'erasalvato.
Poi la guerra fini'. A lui che non aveva studiato molto avevano dato un
diploma e lo avevano chiamato cavaliere ed era tornato a coltivare la sua vigna.
Si racconta poi che Mario osservasse gli avvenimenti del dopoguerra con preoccupazione crescente. Pensava che da veterano allo scoppio di una nuova guerra mondiale sarebbe stato mandato di nuovo su quelle montagne gelate.
Pensava all'Africa, piu' simile alla sua terra e pensava che avrebbe preferito zappare per coltivare che per nascondersi dal nemico.
Ci sono dei momenti in cui una persona ha la lucidita' necessaria per leggere eventi che si evolvono su scala mondiale.
Sapeva che nelle colonie durante la grande guerra non erano state toccate dalla guerra e sapeva che lui voleva la pace.
Consapevole di tutto cio', decise di partire come volontario per la Somalia.
Siccome il fato beffardo spesso aspetta che gli uomini recrimino il controllo del loro destino per colpire: il suo villaggio fu il primo ad essere attaccato e a cadere.
Il mio bisnonno si fece 5 anni nei campi di prigionia inglesi.

Quando l'ho conosciuto io era taciturno e curvo. Piegato dagli anni e dagli sforzi non sembrava nemmeno cosi' alto, anche se gli occhi non avevano perso lucentezza.
Verdi erano, come una vite contorta e dall'apparenza sofferta sotto cui amava dormire.
Era facile da riconoscere: non era mai stata legata a un palo ed era cresciuta secondo l'istinto e la natura.
Quella vite non ha mai prodotto un granche', ma e' sempre stata un monumento di famiglia.
I miei cugini non hanno mai conosciuto il trisavolo, eppure chiamano ancora oggi quella pianta: "la vite del nonno Mario".

Saturday, 4 September 2010

Le città hanno dei linguaggi tutte loro.

A volte parlano con segni astratti, in genere non son mai banali.
Riflettevo su ciò mentre prendevo un autobus.
Il segno “
mind your head mi faceva riflettere.
Mi costringeva a preoccuparmi della mia testa, dei pensieri che dovevano, appunto essere ben pensati, “prima di attivare la bocca verificare che il cervello sia inserito”. Il cartello esortava a fare lo stesso: a mettere la mente (mind) nella testa.
Il segno era davvero notevole.
Più avanti, camminando notai un altro segno che recitava “Look right”.
Come interpretare questa esortazione se non come un incitamento a osservare (look) ciò che è giusto (right) con lo scopo di seguire i modelli migliori e pertanto rendersi più perfetti.
Eppure non potevo fare a meno di notare la dicotomia che voleva quella frase a significare Appari (look) in maniera corretta (right).
L’asserzione, seppure vanesia e di impronta epicurea non era del tutto errata: non era forse vero che, sebbene l’abito non faccia il monaco, tuttavia ad ogni funzione si addice una veste? Se uno vuole essere visto come giusto, forse un po’ deve apparire come tale.
Leggevo la città come un manuale di filosofia (visto che anni prima avevo usato le ore di filosofia per leggere fumetti).
La metropolitana mi riservava ancora una sorpresa con il suo messaggio: mind the gap.
Incredibile. Nevvero?
La metropolitana di Londra mi esortava a occuparmi delle lacune, riconoscendo la natura perfettibile, seppur erronea per definizione dell’essere umano.
Convinto che questa conversazione con la città m’avesse, se non arricchito, spinto a riconsiderare il mio io, le mie ambizioni e a riconoscere le mie lacune, con lo scopo di porvi rimedio, finalmente giunsi all’aereo che mi portava verso la ventina di giorni di meritata vacanza estiva.
Ponderavo ancora tutto ciò quando, percorrendo in moto lentamente via Zenone (che noi del classico via Zenone la si percorre sempre in prima anche se con una moto di grossa cilindrata per via di certi paradossi, Achilli e tartarughe che non sto qui a spiegare).
Vidi verso la fine della strada un cartello.
Sotto v’era scritto "
Zona Disco".
Cercai di interpretare il segno si ermetico e criptico.
Accanto al cartello non v’erano discenti, né docenti che peripateticamente tramandavano il loro sapere.
Poi la sera vidi tanta gente che ballava discotecaramente attorno al cartello il ballo di Simone.